ACRILAMMIDE E SALUTE CARDIOVASCOLARE: UN RISCHIO SOTTOVALUTATO?

L’acrilammide si forma nei cibi amidacei sottoposti ad alte temperature e il suo metabolita, la glicidammide, è collegato a rischi cardiovascolari. Studi mostrano che la glicidammide può aumentare colesterolo LDL, glicemia e pressione arteriosa, favorendo obesità e ipertensione. Ridurre il consumo di cibi fritti e cotti ad alte temperature aiuta a minimizzare l’esposizione. L’industria alimentare e la regolamentazione possono svolgere un ruolo chiave nella riduzione di questa sostanza nei prodotti trasformati. Scopri di più con i medici di Cibum dell’Azienda ospedaliero-universitaria Senese

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Consulenza scientifica

Katia Gennai

Dietista. Ha conseguito il Diploma di Tecnico in Dietologia e Dietetica Applicata nel 1994; laurea triennale in dietistica nel 2004. Lavora presso l’UOSA di Dietetica e Nutrizione Clinica dell’AOU Senese. Docente nel corso di laurea in Dietistica.

L’ACRILAMMIDE E IL SUO IMPATTO SULLA SALUTE

L’acrilammide è un sottoprodotto della cottura ad alte temperature di alimenti ricchi di amido ed è presente in molti cibi di consumo quotidiano. Questa sostanza si forma attraverso la reazione di Maillard, un processo chimico che conferisce ai cibi un colore dorato e un sapore caratteristico. Il problema principale legato all’acrilammide è la sua possibile tossicità per l’organismo, soprattutto a lungo termine. Studi scientifici hanno analizzato la sua presenza in alimenti come pane, biscotti e patatine fritte, evidenziando concentrazioni variabili a seconda dei metodi di preparazione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato la necessità di monitorare l’esposizione a questa sostanza a causa dei suoi potenziali effetti nocivi. Alcuni studi indicano che l’acrilammide può attraversare facilmente le membrane cellulari, aumentando il rischio di danni a livello molecolare. La sua presenza negli alimenti trasformati industrialmente è spesso superiore rispetto a quella riscontrata nei prodotti preparati in casa. Il grado di formazione dell’acrilammide dipende non solo dalla temperatura di cottura, ma anche dal tempo di esposizione al calore. Esistono differenze significative nella quantità di acrilammide tra cibi fritti, al forno o alla griglia, con livelli più elevati nei prodotti altamente processati. Anche alcune tecniche di tostatura e arrostimento possono aumentare la produzione di questo composto nei cereali e nei legumi. I consumatori, spesso inconsapevoli, assumono questa sostanza attraverso una dieta ricca di alimenti trasformati. Nonostante la sua presenza negli alimenti sia diffusa, molte persone non ne conoscono i possibili effetti sulla salute. Gli esperti consigliano di prestare attenzione alle tecniche di cottura, preferendo metodi a temperature più basse per ridurre la formazione dell’acrilammide. Alcuni studi hanno suggerito che modifiche nella composizione degli alimenti prima della cottura potrebbero contribuire a limitare la produzione di questa sostanza. L’interesse della comunità scientifica su questo tema è cresciuto negli ultimi anni, portando a una maggiore regolamentazione nella produzione industriale. Tuttavia, nonostante le ricerche in corso, restano ancora molte incertezze sugli effetti a lungo termine dell’acrilammide sulla salute umana.

IL RUOLO DELLA GLICIDAMMIDE NEGLI EFFETTI TOSSICI

Una delle principali preoccupazioni legate all’acrilammide è la sua trasformazione metabolica in glicidammide, un composto ancora più reattivo. Questo processo avviene nel fegato, dove gli enzimi convertono parte dell’acrilammide in glicidammide, aumentando il suo potenziale tossico. Gli studi hanno dimostrato che la glicidammide possiede una maggiore affinità per il DNA e le proteine, causando danni cellulari più significativi rispetto all’acrilammide stessa. L’esposizione prolungata a questa sostanza è stata associata a modificazioni nei livelli di glucosio e lipidi nel sangue, favorendo lo sviluppo di disturbi metabolici. Alcune ricerche suggeriscono che l’azione della glicidammide potrebbe contribuire all’aumento del colesterolo LDL, noto per il suo ruolo nelle patologie cardiovascolari. L’accumulo di questa sostanza nell’organismo è stato correlato a un incremento della pressione arteriosa, un fattore di rischio per ictus e infarti. Le analisi su modelli animali hanno mostrato che concentrazioni elevate di glicidammide possono alterare il metabolismo dei carboidrati, portando a uno stato di resistenza insulinica. Oltre agli effetti sul sistema cardiovascolare, la glicidammide è stata studiata per il suo potenziale impatto su altri organi, tra cui fegato e reni. Sebbene l’acrilammide venga eliminata attraverso i reni, la sua trasformazione in glicidammide ne prolunga la permanenza nell’organismo, amplificando i suoi effetti tossici. La quantità di glicidammide prodotta varia in base alla predisposizione genetica e alla capacità individuale di metabolizzare l’acrilammide. Alcune persone possono essere più vulnerabili agli effetti di questa sostanza a causa di differenze enzimatiche nella sua conversione. La ricerca scientifica sta cercando di comprendere meglio il ruolo della glicidammide nelle malattie cardiovascolari, ma sono necessarie ulteriori conferme. La riduzione dell’esposizione alimentare all’acrilammide potrebbe rappresentare una strategia utile per limitare la produzione endogena di glicidammide. Un’alimentazione basata su cibi freschi e poco processati potrebbe contribuire a minimizzare il rischio associato a questa sostanza. Il dibattito su come limitare l’impatto della glicidammide è ancora aperto e rappresenta una sfida per la ricerca nutrizionale.

STRATEGIE DI RIDUZIONE DELL’ESPOSIZIONE ALL’ACRILAMMIDE

Per diminuire l’esposizione all’acrilammide, è importante adottare scelte alimentari più consapevoli e modificare alcune abitudini in cucina. Ridurre il consumo di alimenti fritti e cotti ad alte temperature può essere un primo passo per limitare l’assunzione di questa sostanza. Alcuni studi suggeriscono che cucinare a temperature inferiori ai 120°C riduca significativamente la formazione di acrilammide nei cibi. Anche la durata della cottura gioca un ruolo fondamentale: tempi prolungati favoriscono l’accumulo di questa sostanza nei prodotti amidacei. Una strategia efficace potrebbe essere quella di preferire metodi di cottura alternativi, come la bollitura o la cottura al vapore. Inoltre, alcune ricerche hanno evidenziato che ammollare le patate prima della cottura può ridurre la produzione di acrilammide. Anche il pH degli alimenti sembra influenzare la formazione di questa sostanza: l’aggiunta di ingredienti acidi, come il succo di limone, può limitarne la presenza. L’industria alimentare sta sviluppando tecnologie innovative per ridurre la quantità di acrilammide nei prodotti trasformati. Una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori potrebbe portare a un cambiamento nelle abitudini alimentari, favorendo la domanda di prodotti con livelli ridotti di acrilammide. Anche le normative sulla sicurezza alimentare stanno evolvendo per regolamentare la presenza di questo contaminante nei cibi industriali. Le aziende del settore alimentare stanno sperimentando ingredienti alternativi e nuovi metodi di lavorazione per minimizzare la formazione di acrilammide. La ricerca scientifica continua a fornire indicazioni su strategie pratiche per limitare l’esposizione quotidiana a questa sostanza. Evitare di bruciare o tostare eccessivamente gli alimenti può essere un’abitudine semplice ma efficace per ridurre i rischi. La combinazione di educazione alimentare e regolamentazione industriale potrebbe rappresentare la soluzione più efficace per contrastare gli effetti dell’acrilammide. Anche piccoli cambiamenti nella dieta possono contribuire a ridurre l’assunzione di questa sostanza senza rinunciare al piacere del cibo.

      BIBLIOGRAFIA

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