Consulenza scientifica
UNA PANDEMIA METABOLICA GLOBALE
Il diabete, un gruppo di malattie metaboliche di diversa eziologia, caratterizzate da iperglicemia cronica, rappresenta ad oggi una vera e propria pandemia, che interessa circa il 10,5% della popolazione mondiale.
Le proiezioni dell’International Diabetes Federation (IDF) mostrano inoltre che entro il 20245 saranno più di 700 milioni i soggetti affetti da diabete mellito nel mondo, circa 1 adulto su 8, con un aumento che interesserà tutti i Paesi e in special modo quelli in via di sviluppo.
Questi numeri si traducono in un significativo impatto sui nostri sistemi sanitari: basti pensare che nell’Unione Europea, ogni 46 secondi un adulto muore per complicanze legate al diabete, che rappresentano circa il 75% della spesa sanitaria legata alla malattia, un costo potenzialmente evitabile attraverso una migliore gestione della malattia ed una adeguata prevenzione.
Anche in Italia, i dati ISTAT confermano un’alta prevalenza di malattia, con circa 4 milioni di adulti affetti, poco meno dell’8% della popolazione di età superiore a 18 anni, con alcune differenze regionali (la prevalenza è maggiore nelle regioni del Sud e nelle isole rispetto al Centro-Nord) ed anagrafiche (netto aumento della prevalenza dopo i 50 anni). In linea con quanto si osserva a livello mondiale, in Italia l’incidenza di diabete è andata aumentando negli anni, in tutto il territorio nazionale ed in entrambi i sessi.
TIPOLOGIE DI DIABETE E CARATTERISTICHE PRINCIPALI
Il 90% dei soggetti diabetici è affetto da diabete mellito di tipo 2, caratterizzato da insulino-resistenza e progressiva perdita di secrezione insulinica che non diventa mai assoluta, a differenza di quanto si osserva nel diabete mellito di tipo 1, caratterizzato da distruzione immunomediata delle cellule beta del pancreas, responsabili della produzione di insulina.
Esistono anche altre forme di diabete, ad esempio il diabete gestazionale, una forma che compare in gravidanza e si risolve dopo il parto, che condivide con il diabete mellito tipo 2 il meccanismo patogenetico di fondo, l’insulino-resistenza, e rappresenta un fattore di rischio per successivo sviluppo di diabete mellito tipo 2.
Altre forme secondarie a patologie endocrine, pancreatiche o difetti genetici sono più rare e per tale motivo non saranno oggetto del presente intervento.
FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE
Tra i principali fattori di rischio associati all’aumento di incidenza del diabete di tipo 2 sono riconosciuti l’urbanizzazione, l’invecchiamento della popolazione, la diminuzione dei livelli di attività fisica, l’aumento della prevalenza di sovrappeso e obesità. In effetti, secondo i dati ISTAT e la Sorveglianza PASSI, circa il 70% della popolazione diabetica italiana è in una condizione di eccesso ponderale. La prevalenza di sovrappeso ed obesità nel nostro Paese, relativamente all’anno 2021, riguarda il 36,1% e l’11,5% della popolazione adulta, rispettivamente.
La prevenzione del diabete mellito 2 rappresenta la vera sfida dei sistemi sanitari. Ad oggi, le evidenze disponibili indicano che raggiungere e mantenere un calo di peso del 7% insieme ad una regolare attività fisica (almeno 150 minuti a settimana di attività fisica moderata) sono lo strumento più efficace per prevenire il diabete. Tali indicazioni sono derivate da una serie di studi osservazionali e di intervento condotti su popolazioni a rischio, affette da alterata tolleranza glucidica (IGT, impaired glucose tolerance), ma è verosimile che si possano estendere anche ad altre condizioni di disglicemia, come l’alterata glicemia a digiuno (IFG, impaired fasting glucose) o la presenza di valori di emoglobina glicata compresi tra 42 e 48 mmol/mol.
Lo studio Diabetes Prevention Program (DPP) rappresenta la più forte evidenza ad oggi disponibile che le modifiche dello stile di vita siano in grado di prevenire l’insorgenza del diabete di tipo 2. In questo studio, più di 3000 soggetti statunitensi di diversa etnia, venivano randomizzati a tre diversi trattamenti: nel gruppo 1 i pazienti aderivano a un programma di cambiamento dello stile di vita che prevedeva un allenamento intensivo (150 min/sett.) ed un piano alimentare con obiettivo di calo ponderale del 7% , ottenuto attraverso counseling iniziale ripetuto periodicamente mediante ripetuti e regolari incontri periodici in presenza e telefonici; nel gruppo 2 i pazienti venivano trattati con metformina (850 mg bis in die) e ricevevano consigli standard su dieta e attività fisica; nel gruppo 3 i pazienti ricevevano un placebo due volte al giorno e consigli standard su dieta e attività fisica. Sia i pazienti nel gruppo 1 che nel gruppo 2 avevano un incidenza significativamente minore di diabete mellito rispetto al gruppo placebo ma, sorprendentemente, la riduzione del rischio di sviluppare diabete era maggiore nel gruppo trattato con l’intervento sullo stile di vita (-58% rispetto al placebo) rispetto al gruppo trattato con metformina (-31% rispetto al placebo). Nella fase di estensione dello studio, dopo un follow-up di 15 anni, i pazienti nel gruppo 1 e 2 continuavano a ritardare l’insorgenza di diabete mellito rispettivamente del 27% e del 18% rispetto al gruppo 3.
Per quanto riguarda la composizione della dieta, diversi studi suggeriscono che la riduzione del consumo di grassi saturi (<10%) a favore di grassi mono- e poli-insaturi sia protettiva nei confronti del rischio di diabete mellito; inoltre, la maggioranza degli studi epidemiologici osservazionali suggerisce che una dieta ricca in fibre e in alimenti a basso indice glicemico è protettiva nei confronti del rischio di diabete mellito di tipo 2. Pertanto, le attuali raccomandazioni consigliano una dieta basata sul modello della dieta Mediterranea, che si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio di malattie metaboliche e cardiovascolari.
Il ruolo dei farmaci nella prevenzione del diabete mellito di tipo 2 è più controverso. Tra i più utilizzati va menzionata indubbiamente la metformina, che può essere utilizzata in associazione alle modifiche dello stile di vita, in modalità off-label per tale indicazione, ma anche altri farmaci ipoglicemizzanti (glitazonici, DPP4-i, GLP1-RA, SGLT2-i) sono stati indagati dimostrando alcuni benefici in termini di prevenzione. Tuttavia, l’effetto ‘protettivo’ non risulta essere superiore a quello dell’intervento intensivo sullo stile di vita e pertanto ad oggi le evidenze non permettono di raccomandare tali terapie per la prevenzione del diabete mellito.
INNOVAZIONI NELLA DIAGNOSI E CURA
Un capitolo a parte è rappresentato dal diabete mellito di tipo 1, finora considerato una malattia non prevenibile. Ad oggi, è possibile diagnosticare la malattia anche prima dell’esordio clinico (stadio 3), in soggetti che presentano positività autoanticorpale (2 o più autoanticorpi), anche in presenza di normali valori di glicemia (stadio 1) o iniziali alterazioni della glicemia ma in assenza di franca iperglicemia (stadio 2). Solitamente la diagnosi di diabete mellito tipo 1 viene posta quando il soggetto è già in stadio 3 di malattia, in cui si verifica l’esordio acuto con iperglicemia spiccata e sintomi cardinali; in questa fase, l’intervento di prevenzione mira esclusivamente ad evitare/ritardare l’insorgenza di complicanze (prevenzione terziaria).
L’identificazione di soggetti con malattia in stadio 1 o 2 permetterebbe invece di arrestare o rallentare il processo autoimmune diretto contro le cellule beta del pancreas e ritardare o addirittura scongiurare l’esordio clinico (prevenzione secondaria), evitando temibili complicanze acute come la chetoacidosi diabetica, che non di rado rappresenta il quadro clinico d’esordio ed è gravata da un alto tasso di mortalità e di danno cerebrale residuo in età pediatrica. Vale la pena precisare che la malattia è preceduta da una lunga fase asintomatica in cui i soggetti geneticamente predisposti vanno incontro ad una attivazione immunitaria che determina una risposta autoimmune contro le cellule beta del pancreas e lo sviluppo di autoanticorpi; l’individuazione di soggetti in questa fase preclinica lascerebbe spazio ad interventi di prevenzione primaria, volti a impedire lo sviluppo del processo autoimmune.
In Italia, lo screening nazionale nella popolazione pediatrica è previsto dall’art. 1 comma 1 della legge 15 settembre 2023 n. 130, che si propone l’obiettivo di prevenire l’insorgenza di chetoacidosi in soggetti affetti da diabete di tipo 1 e di rallentare la progressione della malattia mediante l’impiego delle terapie disponibili. Lo screening viene effettuato su campioni di sangue capillare e prevede la misurazione dei marcatori autoanticorpali del diabete di tipo 1 presso Laboratori di riferimento, individuati dalle Regioni e dalle Province Autonome.
La legge 130 pone il nostro Paese in una situazione di avanguardia nel contesto internazionale per la diagnosi e la cura del diabete tipo 1. L’identificazione dei soggetti a rischio attraverso lo screening aprirà la strada all’utilizzo di terapie in grado di prevenire l’insorgenza di diabete mellito tipo 1, come ad esempio il teplizumab, un anticorpo anti-CD3, già approvato negli Stati Uniti, che ha dimostrato di ritardare la progressione verso il diabete di tipo 1 clinicamente manifesto in soggetti ad alto rischio (tempo medio alla diagnosi 48,4 mesi nel gruppo trattato con teplizumab, 24,4 mesi con placebo; tassi annualizzati di diagnosi di pari a 14,9% all’anno nel gruppo teplizumab rispetto a 35,9% all’anno nel gruppo placebo), oltre a preservare la funzione delle beta cellule nei pazienti con malattia in stadio 3 ed esordio clinico recente, inferiore a 6 mesi.
BIBLIOGRAFIA
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